I rivali generosi, Venezia, Nicolini, 1697

 I RIVALI GENEROSI
 
    Drama per musica da rappresentarsi nel teatro di San Salvatore l’anno MDCXCVII, dedicato all’illustrissimo ed eccellentissimo signor conte di Mansfelt, principe di Fondi, grande di Spagna, cavaliere del Toson d’Oro, maresciallo di corte e general maresciallo di campo di sua maestà cesarea, governator di Comor, colonello di un reggimento di fanti, plenipotenziario per la pace a’ principi d’Italia, eccetera.
    In Venezia, MDCXCVII, appresso il Nicolini, con licenza de’ superiori.
 
 Illustrissimo ed eccellentissimo signore, signor patron colendissimo,
    quantunque grande in me fosse il desiderio di dare a vostra eccellenza un publico testimonio del rispetto, non m’avrei presa la libertà di offerirle questo mio drama, se non avessi sperato che la dignità dell’argomento in me avrebbe diminuita l’audacia e in lui supplito quel lustro che la fiacchezza del mio intelletto non ha saputo concedergli. In esso leggerà l’eccellenza vostra una delle più illustri vittorie di Belisario, nome troppo strepitoso alla fama per le sue conquiste non meno che per le sue ultime calamità; e le glorie d’un capitano, che hanno riempiuta del loro grido la più bella parte delle storie più lontane dalla nostra memoria, meriteranno l’alto riflesso d’un eroe, la di cui fama già è divenuta un raro ornamento del nostro secolo. Quell’idea bellicosa, che in lei travaglia anche nell’ozio battaglie e medita nel riposo trionfi, si scuoterà con piacere, in udendo assedi, sortite, assalti ed abbattimenti, nomi che fanno la delizia del valore e l’anima del coraggio. Belisario sudò alla libertà dell’Italia, quando ella era più aggravata dagl’insulti de’ barbari; e l’eccellenza vostra recò la pace all’Italia, quando ella era più scossa dal terrore dell’armi e dagli strepiti della guerra, egli, duce invitto di un Giustiniano che diede leggi agl’imperi, e l’eccellenza vostra, gran ministro di quel Leopoldo ch’è lo spavento de’ Traci.
    Se questi motivi potranno ottenermi dall’eccellenza vostra un favorevole aggradimento, in esso io m’anderò figurando il frutto più dolce de’ miei travagli e ’l premio più avvantaggioso di cui potesse lusingarmi la mia ambizione. Conforme nel di lei spirito v’è troppa luce per lasciarsi sorprendere dagli oggetti ed ingannare dalle apparenze, io m’assicuro che quando il mio drama non abbia la sventura di dispiacerle, potrà con assai più di coraggio esporsi alla publica vista e dalla di lei approvazione starà attendendo dubbioso tutta la sua migliore fortuna. Io le confesso che come nulla ho risparmiato per renderlo il men difettoso di quanti finora mi son caduti di mano, così non ho saputo difendermi da un sentimento secreto che ha innalzati i miei voti a volergli cercare in un patrocinio sì illustre il compimento della sua sorte. Tuttavolta non ho tanto di vanità per pretender di meritarlo; son troppo noto a me stesso e la fama parla con troppo grido di vostra eccellenza. Solo nel componimento che le offerisco, mi basta di aver sodisfatto per quanto ho potuto al mio osequio e di non dovermi arrossire che del mio poco talento. Per me sarà sempre glorioso questo momento, in cui ho avuto l’onore di segnalare i miei voti, dichiarandomi dell’eccellenza vostra umilissimo, devotissimo e ossequiosissimo servitore.
 
    Apostolo Zeno
 
 ARGOMENTO
 
    Gemea l’Italia sotto il tirannico impero del re de’ Goti Vitige. A liberarla da un sì barbaro giogo fu spedito dall’imperator Giustiniano il gran Belisario che, in brieve tempo, correndo di vittoria in vittoria, la rimise nello stato primiero di libertà e constrinse il tiranno Vitige a ricovrarsi per ultimo rifugio in Ravenna co’ miserabili avvanzi del suo esercito, già in più battaglie sconfitto. Fu lungo e periglioso l’assedio; ma cedé alfine l’ostinazione de’ barbari alla virtù di Belisario. Espugnò egli Ravenna, prese Vitige e con sì illustre trionfo si videro estinte le speranze de’ Goti ed all’Italia rassicurati i timori. Vitige ritrovò il suo vincitore sì generoso che fu costreto a confessarsi felice nelle sue perdite e, nella corte dell’imperator Giustiniano onorato col titolo di consigliere e di senatore romano, conobbe aver ritrovato un miglior regno fra’ suoi nemici e più di grandezza fra i ceppi.
    Ora nel tempo che il suddetto Vitige reggea l’Italia con assoluto dominio, invaghissi egli di Elpidia, principessa di Puglia. Condottala seco in Roma le scuoperse il suo fuoco e ne tentò, lusinghiero e feroce, gli affetti; ma la costante principessa non allettarono i doni, non atterrirono le minacce e, vedendo che alfine l’amor del tiranno degenerava in furore ed il furore potea finire in violenze, secretamente fuggì da Roma e a Belisario ricorse che avea già fatti sentire i primi moti delle sue armi in Italia. Esso l’accolse magnanimo, l’assicurò di difesa e le offerse nel proprio campo un asilo. La bellezza d’Elpidia non andò guari che cagionò nell’esercito greco funesti effetti. I principali capitani se ne invaghirono e da questo amore nacquero discordie, gelosie, sedizioni. Belisario per acquietarne i tumulti, sentenziò con l’assenso d’Elpidia che quello ne sarebbe lo sposo, il cui valore più d’ogn’altro si segnalasse nella guerra che avea intrapresa co’ Goti. Su questi fondamenti, tratti dal Sigonio e dal Trissino nel suo poema dell’Italia liberata, s’intreccia il drama intitolato dall’azion principale I rivali generosi.
 
 LETTORE
 
    Nel presente drama ho procurato di conservare il costume di Vitige, quale appunto ce lo figura l’istoria. Incostante fu egli ne’ suoi affetti, ebbe del vile, dell’audace e talvolta del generoso. Prevalse però a tutte le sue passioni quella dell’ira. La fierezza fu il più dolce oggetto de’ suoi pensieri. Mi parve adunque assai convenevole al di lui animo la barbara risoluzione di veder la figlia Rosmilda più tosto uccisa che serva; e nella generosa contesa tra Elpidia ed Olindo a lui sembrò più soave la morte dell’odiato rivale che il possesso dell’amata principessa. Di ambe queste azioni crudeli la prima è fondata su l’uso de’ barbari, che stimavano men vergognosa la morte che la schiavitudine, e l’altra ha per fondamento la connaturale fierezza del re tiranno e la necessità del pericolo.
    Ne’ due rivali l’amor d’Olindo ha più del modesto, quello d’Ormonte ha più del feroce; onde l’uno è più confacente al quieto genio d’Elpidia, l’altro più al fiero di Rosmilda che, come nata ed allevata fra i Goti, poteva averne succhiata l’alterigia col sangue.
    Belisario non per altro abbassa l’idea guerriera a decidere i litigi d’amore tra i due principi rivali che affine di soffocare il seme di più perigliose discordie. Alarico opera da amante disperato; e più col cieco furore della gelosia che con la chiara guida della ragione, ordisce il tradimento contro di Ormonte.
    L’amor di Rosmilda ha un gran fondamento dalla gratitudine, un maggior fomento dal genio; ei per esser figlio di pochi momenti opera con ardore ma non con violenza; né può conoscere gelosia perché appena intende sé stesso.
    Il rapimento che fa Vitige d’Elpidia, quando l’esercito nemico è impiegato parte nel difendersi da Feraspe, parte nell’assalire Ravenna, non parerà sconvenevole o a chi avrà sperienza degli stratagemi di guerra o del sito dell’assediata città o delle violenze d’amore.
    Tanto m’è parso bene avvisarti o per tua chiarezza o per mia discolpa. Se il primo riflesso ti sembra ardito, accusa la mia imprudenza, se l’altro inutile, il mio timore. Sta’ sano.
 
 INTERLOCUTORI
 
 BELISARIO capitan generale di Giustiniano imperatore
 ORMONTE, OLINDO principi greci, rivali nell’amor d’Elpidia
 ELPIDIA principessa di Puglia, amante di Olindo
 VITIGE re de’ Goti, amante di Elpidia
 ROSMILDA figlia di Vitige e poi amante di Ormonte
 ALARICO capitano de’ Goti, amante di Rosmilda
 
    La scena è intorno Ravenna.
 
 SCENE
 
    Nell’atto primo: campo di Belisario attendato con città in lontananza; loggie reali che portano agli appartamenti di Rosmilda; fiume con ponte, da una parte palagio con tende in lontananza, dall’altra campagna con bosco; atrio regio.
    Nell’atto secondo: bosco; deliziosa che riferisce agli appartamenti di Rosmilda; villa suburbana; cortile regio di statue.
    Nell’atto terzo: sala; giardino che riferisce agli appartamenti di Ormonte; gabinetto regio con tribunale; salone imperiale.
 
 BALLI
 
    Di schiavi, di guerrieri.